giovedì 19 aprile 2012
GIOVANNI MERCURIO DA CORREGGIO
Nato probabilmente nel 1451 si crede dalla nobile famiglia De Correggio, ufficialmente viveva a Bologna con moglie e cinque figli, ma in realtà girovagava per varie città italiane. De Correggio amava definirsi il nuovo messia ed il nuovo Mercurio Trismegisto, sosteneva cioè di essere sulla terra per rivelare le verità appartenute a Mercurio trismegisto e poi proseguite da Gesù Cristo. In pratica, secondo determinate credenze, la sua era una discendenza antichissima che per l'appunto partiva ancora prima dell'apparizione di Cristo ed esattamente da Mercurio trismegisto che secondo le antiche credenze fu un discendente di Noè che riusci' a tradurre e divulgare il contenuto delle sacre scritture lasciate su due pilastri dagli uomini che vissero prima del diluvio. De Correggio non solo proseguirà le dottrine di Mercurio trismegisto anche detto Hermes ma ne adotterà il nome, infatti ufficialmente si farà chiamare Giovanni Mercurio de Correggio. I suoi seguaci amavano definirlo 'il Divino profeta', l'uomo che capiva i misteri delle cose naturali, l'unico capace di scoprire il profondo significato delle sacre scritture. Abraham Farisol disse di lui:' pregava in tutte città esaltando se stesso come il vero profeta ispirato dallo spirito santo, interpretava brillantemente la torah e chiamava se stesso 'figlio di Dio, di Mercurio Trismegisto, di Enoch e di Matusalemme'. La sua apparizione più plateale fu quella di Roma nel 1484 nella domenica delle palme dove, come descrive il suo più devoto seguace 'Ludovico Lazzarelli', de Correggio vuole apparire volutamente il messia e per questo verrà inquisito per eresia ed imprigionato. Scampato miracolosamente all'arresto si recò a Firenze, ma fu anche qui catturato, subì gli interrogatori dell'inquisitore francescano e fu messo ai ceppi pubblicamente.
Sopravvissuto anche a questo ennesimo procedimento inquisitoriale fiorentino, che non sarebbe stato l'ultimo, G. continuò la sua missione di novello messia sia in Italia, sia in Francia. Fu a Lucca nel 1494; nel 1497 è segnalata la sua presenza a Venezia, nel 1499 passò da Cesena diretto a Roma. Fu durante questo soggiorno romano che G. presumibilmente compose l'Oratio ad sanctam crucem, stampata a Roma nel 1499. G. fu forse anche a Ferrara, come ci indicherebbe una testimonianza di Avraham Farissol e il fatto che un suo sonetto fu commentato da Carlo Sosenna, professore presso lo Studio ferrarese.
Nel 1501 si recò in Francia , dove fu ricevuto dal re Luigi XII. Di contatti con la corte francese si ha notizia anche in precedenza poiché è anche noto un suo scritto in cui egli difendeva il re francese contro le pretese di papa Giulio II. Le testimonianze relative al soggiorno francese di G. nel 1501 sono rappresentate da due lettere di Pietro Aleandro. A quanto pare G. fece dono a Luigi XII di un'opera alchemica che è stata identificata con il codice viterbese forse autografo di Ludovico Lazzarelli. Fu anche grazie alla presenza di G. in Francia che si ebbe la diffusione delle idee e degli scritti ermetici prodotti in Italia.
L'ultima notizia relativa a G. risale al 1506, anno in cui è datato il suo scritto De quercu Iulii pontificis, Si ignora la data e il luogo della sua morte.
Nonostante i tanti seguaci non potevano mancare anche coloro che lo giudicavano un folle esibizionista tra questi un suo contemporaneo, Vincenzo Colli detto il Calmeta, che in una prosa dedicata all'ostentazione così tratta di G.: "da un'altra specie di vanagloria tirato, avendo gran tempo circa la dottrina cabalistica e 'l Testamento Vecchio data opera, secondo egli predicava, or vestito di sacco e or con corona di spine, or con qualche altra ostentazione, essendo di facondia e di ardente prononcia dalla natura dotato, va peregrinando con una certa sua fantasia non solo di far ammirare il volgo, ma se possibile è, d'essere adorato".
G. ha lasciato anche alcuni scritti. Il trattato di medicina Contra pestem ac contra omnem ipsius epidimie perniciosissima contagionem, Per trattare la peste G. si servì di nozioni attinte più che dalla medicina ufficiale, della quale G. non aveva certo una conoscenza derivante da studi accademici, dalle sue conoscenze magiche e alchemiche. Di G. si conservano anche la già ricordata Oratio ad sanctam crucem, le Exhortationes in barbaros, Turcas, Schythas, pubblicate a Lione nel 1501 e un sonetto di argomento religioso indirizzato ad Alessandro VI. Indirizzati a Giulio II sono due scritti di cui si sa molto poco: il già ricordato De quercu Iulii pontificis, e uno scritto in difesa di Luigi XII re di Francia. ARTICOLO CORRELATO: VI PRESENTO IL MIO LIBRO-BLOG
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